Zabut e i suoi Palazzi

PALAZZO DEI MARCHESI BECCADELLI – Lungo il Corso Umberto I, tra il Vicolo Beccadelli e la Via Pietro Caruso, sulla destra, c’è un impianto massiccio che originariamente – come ricorda l’Abate Amico – costituì la dimora dei Marchesi della Sambuca. La realizzazione dovette avvenire in un arco di tempo molto lungo e su preesistenti fabbricati che si articolavano nell’ambito di un intero isolato delimitato dalle Vie BeccadelliBaglio GrandePietro Caruso e dalla Via Grande o Corso Umberto I. Nell’isolato si comprendevano: la Chiesa di San Sebastiano e l’Ospedale Pietro Caruso (1500) di cui oggi si possono ammirare solo gli imponenti frontespizi, alcuni fabbricati di antica struttura ma manomessi da esigenze logistiche attraverso i secoli, e poi il massiccio beccadelliano che va sino all’angolo dell’omonimo vicolo.
Interessanti sia lo scalone catalano nell’interno del cortile, sia balcone centrale sormontato dallo stemma gentilizio della famiglia.

PALAZZO ODDO O DELL’ARPA – Seguendo il percorso della Via Grande ci si imbatte in un doppio arco “trionfale”, sovrastato da tre eleganti balconi. I due archi sono separati da un portale che a sua volta sopporta uno spaccato quadrangolare delimitato da una cornice sbalzata. Entro questa cornice nel 1938 fu collocata dai fascismo locale, s

econdo le disposizioni di quello nazionale, la lapide  contro le sanzioni antifasciste con enfatiche righe che esaltavano la politica autarchica del Duce. Al suo posto oggi è un orologio, dono di Francesco Riggio, illustre direttore di orchestra in terra di America dove emigrò in giovanissima età.
Il Palazzo di fattura secentesca fu costruito, sull’impianto della Porta da cui si accedeva alla città-fortezza di Zabut, dalla famiglia Oddo e ceduta successivamente ai Giurati del tempo perché fosse sede della municipalità. Restaurato internamente sul finire degli anni ’60, ospita oggi l’Amministrazione attiva, il Consiglio municipale e gli uffici amministrativi.

Nel Palazzo comunale si conservano opere di arte moderna di artisti contemporanei. Ricordiamo le opere degli illustri concittadini: Gianbecchina, autore di un affresco dal tema drammatico: “Il terremoto del 1968”; Nino Maggio, autore di una scultura ligneaNino Ciaccio, autore di opere che riproducono luoghi architettonici di Sambuca scomparsa; ed altri come Francesco Marino: “Emigranti”; Andrea Carisi: “Mafia”; Ignazio NavarroVincenzo Sciamé.

PALAZZO CIACCIO – Dirimpetto alla fiancata sinistra della Chiesa del Carmine sorge – sempre sul Corso Umberto – l’imponente Palazzo della famiglia Ciaccio. Si tratta di un massiccio edificio fatto costruire, in stile rinascimentale fiorentino alla fine dell’800 dal Cav. Antonino Ciaccio, proprietario finanziatore, progettista e direttore dei lavori.
L’isolato, delimitato dal Corso Umberto, dalle Vie Fratelli CostanzaNotar Ganci e Roma, s’impone al visitatore per la sua monumentalità, il calore della pietra e l’armonia delle linee.

PALAZZO MANGIARACINA – Salendo il Corso Umberto I e oltrepassato il Teatro “L’Idea”, sulla sinistra si può ammirare il frontespizio del Palazzo Mangiaracina. Costruito nella prima metà dell’800  è dominato dalle sobrie movenze architettoniche del portale: colonne lisce su pilastrature rettangolari di pietra tufacea dura che reggono l’aggetto, pure in pietra tufacea, di un balcone centrale del palazzo.

PALAZZO DEI BARONI CAMPISI – Sempre sulla sinistra, poco più avanti, è l’impianto del Palazz0 dei Baroni Campisi, del settecento. Esteriormente subì nel passato, remoto e recente, soprastrutture di vario genere che hanno alterato la fisionomia originale. Smembrato nell’unitarietà architettonico interna per ragioni di divisioni ereditarie conserva poco della caratteristica originaria. Da oltre un ventennio è sede della Cassa di Credito Cooperativo. È uno dei palazzi più belli di Sambuca.

PALAZZO DEI BARONI ODDO – Simile sorte del Palazzo Campisi, subì il Palazzo Oddo che si erge poco più avanti sul lato destro del Corsom Umberto I. Sorto nella seconda metà del ‘600 conserva ancora l’imponenza esteriore: lunga balconata nel quarto nobile, corniciatura sul filo di gronda di pietra tufacea con sculture ogivali.

PALAZZO PANITTERI-TRUNCALI-AMODEI – Di fronte la Chiesa di San Michele si trova il Palazzo Panitteri: «…Si comprende in questa parte del paese la Chiesa di San Michele, dirimpetto alla quale è posta l’antica casa, un tempo del sacerdote don Bartolo Truncali, circondata da quattro vie: Largo San Michele, Via Panitteri, Vicolo Calcara, Via Gaspare Puccio, oggi posseduta dagli eredi di don Pietro Anodei Panitteri».
Questa è la descrizione del palazzo che noi battezziamo – essendo appartenuto a tre ceppi diversi – «Truncali-Panitteri-Amodei», fatta alla fine del secolo da uno studioso di topografia, l’abate Vito D’Amico.
Il D’Amico con questa nota ci mette sulla traccia delle origini del Palazzo. Ci conferma, intanto, che il palazzo appartenne ad un prete, don Bartolo Truncali.
Si sa di questo prete che fu nipote di un omonimo zio molto potente che visse a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Di costui si sa ancora che abitò il detto palazzo dopo averlo assestato nella struttura in cui si può ammirare ancora a tutt’oggi.
Il Palazzo, comunque, dovette preesistergli di sicuro e fu certamente costruito come torrione di avamposto lungo le mura chi circondavano la cittadella di ZABUT sino al periodo in cui ebbe inizio la sua espansione dopo la distruzione di Ardagna, avvenuta nell’autunno del 1411. Spostate a sud le mura di Sambuca, il Palazzo si trovò al centro del nuovo agglomerato che andava sorgendo tutt’intorno.
Adibito, da fortezza, a palazzo di civile abitazione subì ritocchi stilistici, rimanendo intatte le strutture murarie. Il Palazzo conserva la forma quadrangolare che racchiude un ampio cortile. Da due lati il cortile è delimitato da alte mura – Vicolo Calcara e Via Gaspare Puccio – rivestite da folti ciuffi di edera. Gli altri due lati sono delimitati, da una parte, dal corpo centrale del Palazzo che si affaccia sulla Via Panitteri con un superbo frontespizio; dall’altro dalla fiancata Nord che dà sul Largo San Michele. La coda di questa fiancata risulta di recente rifacimento. Molto probabilmente il palazzo subì qualche grosso guasto per cui fu necessario demolire la parte fatiscente e sostituirla con un’ala che forse fu adibita agli inizi del secolo come «dipendenza» per la servitù. È molto evidente la deturpazione.
Nell’interno del cortile si aprono, nel piano terra, vasti magazzini. Un’ampia scala di stile catalano porta al piano superiore, che comprende una zona soggiorno costituita da una grande sala adiacente alla cucina e alle dipendenze di servizio; una zona per grandi ricevimenti costituita da un superbo salone con soffitto a cassettone, pareti dipinte, pavimento in ceramica antica. Il salone viene servito di luce dal balcone centrale del palazzo: e, infine una zona costituita da sale da letto.
L’arte e le strutture del Palazzo Trunacli-Panitteri-Amodei sono caratterizzate da linee attinte al tardo rinascimento siciliano e da forti vocazioni verso quel vago senso del nuovo che poi avrà la sua concreta fioritura nel barocco isolano, sobrio, austero e monumentale.
Per la storia va detto anche che il palazzo appartenne ad un illustre prelato, Don Giuseppe Panitteri, Cianuro della Cattedrale di Girgenti, vicario generale della diocesi omonima, procuratore generale del Marchese Beccatelli, grande archeologo e mecenate. Nella Valle di Girgenti acquistò l’area dell’ex monastero di San Nicola, vi eresse una villa – l’attuale area su cui insiste il Museo Nazionale – e vi promosse campagne di scavi. Nacque il due di ottobre del 1767. Dal 1795 al 1828, anno della sua morte, visse a Girgenti, l’attuale Agrigento.

 PALAZZO NAVARRO E OMONIMA PIAZZA – Tutta la teoria di case adornate di balconi, terrazze, leggete che fiancheggiano a sinistra la piazza Navarro fu proprietà ed abitazione della numerosa famiglia di Vincenzo Navarro. L’intero impianto è il risultato di ristrutturazioni di preesistenti fabbricati la cui costruzione risale ad età molto remota, di sicuro alla seconda metà del ‘700, e fu compiuta dallo stesso Vincenzo Navarro, almeno limitatamente al primo corpo di fabbricati. La parte, invece, che insiste sull’arco del violetto che si collega con Via Graffeo, non fu manomessa; la data della costruzione di questa struttura occorre collocarla tra quelle che presentano la medesima caratteristica e che si fanno risalire alla fine del ‘500 e agli inizi del ‘600.
In questo palazzo nacchere quasi tutti i figli del Navarro, medico, poeta, letterato e patriota, tra cui il famoso Emmanuele (1838-1919), detto della Miraglia, autore di racconti e del romanzo “La Nana”, precursore del verismo, amico di Verga e Capuana, vissuto a Parigi nell’anno della Comune e poi per parecchi lustri nei salotti frequentati dalla sand, Victore Hugo, Sardo, Gambetta ed altri. La casa dei Navarro fu cenacolo di vita artistica e letteraria e sede ideale del cosiddetto “Salotto sambucese dell’800”.